Marcinelle, ‘la tragedia degli italiani’ (8 agosto 1956) in un libro di Paola Cecchini
Pubblichiamo un articolo della giornalista e scrittrice pesarese Paola Cecchini, in occasione della ricorrenza della tragedia di Marcinelle, 65 anni fa. Paola è autrice del libro “Fumo nero”, dedicato proprio a quel drammatico evento.
“Per me le miniere sono state uno scandalo dell’epoca… Estrarre il carbone nelle condizioni in cui si era obbligati a lavorare qui in Belgio è per me un crimine contro l’umanità. Persino gli amici belgi di quel tempo ripetevano sempre: Preferisco vedere mio figlio morire sotto il treno piuttosto che vederlo in miniera” .
“Fino a 450 metri si poteva ancora stare bene, ma una volta oltrepassati i 500 si iniziavano ad avere 40, 42, anche 46 gradi centigradi di temperatura… e ti sentivi soffocare. Si lavorava nudi, era tanto il calore laggiù…che anche a stare nudi si sudava da impazzire… quando il caldo era infernale, ci sfilavamo le mutande, le strizzavamo e le indossavamo nuovamente”.
Sono alcune delle testimonianze riportate nel mio libro “Fumo nero-Marcinelle 1956-2006” (qui sotto, la copertina) presentato al Parlamento Europeo ed oggetto di recital musico-teatrali presso alcuni teatri friulani.
Tra il 1946 e il 1960, oltre 230.000 giovani uomini (età massima 35 anni, poi elevata a 40) lasciano un’Italia semi-distrutta da una guerra persa ed affluiscono in Belgio a seguito di quello che è passato alla storia come accordo ‘minatore-carbone’: il Belgio avrebbe esportato mensilmente verso il nostro Paese una certa quantità di tonnellate di carbone che sarebbe aumentata in maniera esponenziale con l’aumento della produzione mineraria.
L’arrivo degli italiani risulta quasi invisibile agli occhi della popolazione locale: i treni dall’Italia arrivano nell’area della stazione normalmente riservata alle merci, allo scopo di evitare l’attenzione di lavoratori e sindacalisti locali. I nostri connazionali abitano vicino alle miniere, fuori dai centri abitati, in terreni di scarico. Non conoscono le lingue locali e sono interdetti dai locali di ristoro delle cittadine (‘interdit aux chiens et aux italiens’).
Nessun addestramento al lavoro é previsto dall’accordo suddetto, sottoscritto dal governo belga e da quello italiano di unità nazionale guidato da Alcide de Gasperi e di cui fanno parte i partiti DC, PCI, PSIUP, PLI, PD’A, PDL (il governo polacco, precedentemente contattato, aveva declinato l’offerta).
I minatori (per gran parte contadini, operai ed artigiani) sono reclutati attraverso le Camere del Lavoro o i manifesti color rosa affissi nelle sedi comunali. Il reclutamento avviene a Milano, originariamente nei sotterranei della stazione, poi addirittura in treno dove un medico arriva a visitare in una notte fino a 2000 uomini.
Il primo trauma per gli italiani è l’alloggio previsto per accoglierli: sono ospitati nei campi costruiti durante l’occupazione nazista per i prigionieri russi, talvolta ancora recintati con filo spinato. I letti sono sovrapposti, i materassi di paglia, le coperte sporche. Non c’é acqua, gas e luce elettrica. Due rubinetti devono bastare per centinaia di persone.
Il secondo trauma consiste con l’incontro con la miniera: la consegna di tuta, pala, lampada e casco (il cui costo verrà trattenuto nella prima busta paga) e poi giù al fondo. Il passaggio in ascensore che in un minuto scende fino ad un chilometro sottoterra è un’esperienza indimenticabile per tutti.
Il lavoro è pesante soprattutto per il caldo, la polvere, il buio, l’esigenza di mantenersi vigili in ogni fase del lavoro, finché…. l’8 agosto 1956 Marcinelle, piccolo borgo alla periferia di Charleroi, balza all’attenzione della cronaca nazionale e poi estera.
270 lavoratori sono rimasti imprigionati nel pozzo di Saint Charles de Charbonnage de Bois de Cazier (il nome della miniera), in funzione dal 1822. Che è successo?
Un carrello, fissato male nella gabbia dell’ascensore per un gancio difettoso, ‘si sarebbe spostato urtando dei cavi elettrici a 3000 volt da cui si è sprigionata una scintilla provocando un corto circuito’. I cavi, purtroppo, sono vicinissimi alla condotta dell’olio della bilancia idraulica ed alle condotte dell’aria compressa che alimentano gli utensili a pressione sul fondo.
Il corto circuito ha appiccato il fuoco agli 800 litri di olio polverizzato ed alle attrezzature in legno del pozzo: il ventilatore di superficie e l’aria compressa fanno il resto. Sfortunatamente, il pozzo di estrazione è anche quello che serve all’immissione dell’aria, per cui fumo ed ossido di carbonio si propagano in tutte le gallerie seguendo il circuito di aerazione. A meno di un’ora dall’incidente, ogni contatto tra il fondo e la superficie risulta impossibile.
Nel frattempo i sopravvissuti sono spariti dopo essere stati sequestrati da picchetti militari; i soccorritori vengono prelevati all’uscita del pozzo ed accompagnati negli uffici della direzione affinchè non parlino con nessuno. I fotografi che sono riusciti a scattare qualche foto sono stati arrestati ed espulsi dal Paese. I soccorsi stranieri sono chiamati 3 ore dopo la disgrazia.
Il bilancio è raccapricciante: 262 morti di cui 136 italiani, tra cui 60 abruzzesi, per gran parte provenienti dai Comuni di Manoppello e Lettomanoppello.
Il processo che ne scaturisce avrebbe dovuto essere istituito contro le condizioni di lavoro, imposte dalla logica del profitto ed alle responsabilità padronali, ma l’unico colpevole sembra essere, invece, l’imprudenza dei lavoratori :Antonio Iannetta, il capro espiatorio, fatto espatriare fin da subito in Canada, riesce a dimostrare la sua innocenza soltanto molti anni dopo.
L’unica nota positiva di questa vicenda è la visibilità conquistata dagli italiani: nessuno da quel momento si permetterà più di burlarsi dei ‘Macaroni’ e per loro si apriranno le porte dell’integrazione alla vita sociale del Paese.
Paola Cecchini